Non può essere la “riconversione” o il semplice “riuso” a garantire il racconto e il ruolo della ruralità.
Il solo “riuso” , quello senza legami con la storia e il vissuto di un territorio o di un edificato, tanto più quello rurale, rischia di trasformare tutto in un “ semplice contenitore” senza memoria, corrispondendo così ai criteri e meccanismi del “grande consumo”.
Una “nuova ruralità” , che guarda dietro a sé per comprendere il suo futuro, e sa guardare anche dentro la città per la città, potrà offrire un pensiero coscienzioso ed etico, uno stile di vita che spinga al riappropriarsi dei luoghi rurali ridando loro dignità e soprattutto ruolo.
Stili di vita affini e vicini alla sinergia che l’uomo ha condiviso per secoli con la natura. Solo il riabitare e il permanere riesce a dar vita e continuità.
Ogni insediamento rurale è un esempio di architettura comunitaria corrispondente a due principali funzioni :Abitare e Produrre. Entrambe le funzioni però non sono e non possono essere slegate dal rapporto che l’uomo ha con la natura, le risorse dell’ambiente e la sua conservazione.
Così ogni progetto dovrebbe basarsi nuovamente sulle due principali funzioni originarie l’abitare e il produrre, senza perdere di vista quella stretta alleanza fra uomo e natura. Un ritorno ad una ruralità certamente più consapevole e colta costituita da una “coscienza di comunità”.
Sembra perciò importante ripartire dal ripensamento del ruolo dei Margini e proporre una nuova ruralità, negando l’omologazione delle strutture rurali ai modelli appartenenti ai grandi centri. Le strutture rurali non hanno bisogno di innovative funzioni, per di più spesso slegate dalla loro storia ma solo di un riconoscimento delle originarie funzioni e del, seppur umile, primario, ruolo.
Foto di Matilde Manganelli
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